Descrizione del disturbo

L’autismo rientra in una categoria sovraordinata definita disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS). La prima descrizione del disturbo autistico da parte di Leo Kanner nel 1943 definisce la sindrome clinica caratterizzata da: incapacità relazionali, resistenza al cambiamento, atipie del linguaggio (deficit di acquisizione, ecolalia, mutismo occasionale, inversione dei pronomi), gioco ripetitivo e stereotipo eccellente memoria meccanica, reazioni emotive eccessive e impaccio motorio. La definizione di autismo si sviluppa ed evolve negli anni a partire da questa prima descrizione. Nel 1943 Kanner si rifiutò di considerare l’autismo come una manifestazione precoce della schizofrenia mentre molti autori allora consideravano la sindrome appunto come una forma di schizofrenia infantile, Bender (1947) ad es., ipotizzò che l’autismo e la schizofrenia fossero parte di un continuum di uno stesso processo sintomatologico evolvendo, entrambe le condizioni, verso un disturbo serio della relazione con l’altro.

Si parlò poi di psicosi infantile che divenne sinonimo di schizofrenia infantile. Con gli anni il termine di psicosi è risultato sempre meno appropriato ai bambini e le ricerche condotte su fasce d’età sempre più basse confutavano tale ipotesi.

L’autismo è una sindrome caratterizzata dalla presenza di deficit specifici che riguardano le seguenti abilità:

  • la teoria della mente e la metarappresentazione;
  • la percezione e l’espressione delle emozioni;
  • l’attenzione condivisa;
  • l’orientamento sensoriale e la regolazione dell’arousal;
  • l’imitazione;
  • il gioco simbolico;
  • la comunicazione e il linguaggio;
  • l’attaccamento;
  • il comportamento intenzionale o finalistico.

Spesso si rischia di includere nei Disturbi Autistici e nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo casi che presentano nella prima infanzia difficoltà di comunicazione ed interazione che sono secondarie ad altre patologie. Cio’ comporta una serie di implicazioni sul piano della prognosi e del trattamento che rischiano di inficiare il processo di sviluppo della patologia stessa. Il DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) prevede che la diagnosi differenziale del Disturbo Autistico sia posta con: il disturbo di Rett, il disturbo Disintegrativo della Fanciullezza, il Disturbo di Asperger, il Mutismo Selettivo, il Disturbo Espressivo e il Disturbo Misto del Linguaggio, il Disturbo del Movimento Stereotipo, la Schizofrenia ed il Ritardo Mentale. Negli ultimi decenni sono stati compiuti notevoli progressi nell’interpretazione dell’autismo e dei disturbi pervasivi dello sviluppo. I dati della letteratura più recente suggeriscono che il Disturbo Autistico ha origine da fattori organici che interferiscono nella fase dello svilupppo del Sistema Nervoso Centrale anche se non sono state individuate specifiche disfunzioni del sistema nervoso.

I fattori biologici causa di autismo sono noti solo nel 20% dei casi; la presenza di anomalie metaboliche sembra interessi il 5% dei casi; le ricerche sui fattori neuropatologici hanno evidenziato, in alcuni casi, la presenza di anomalie localizzate nel cervelletto, nel sistema limbico e nella corteccia cerebrale. In altri casi è stato evidenziato il ruolo dei fattori esogeni infettivi, tossici, farmacologici, traumatici, e vascolari. L’indagine sui fattori genetici e sulle anomalie cromosomiche, infine, ha portato alla scoperta dell’eziologia certa del Disturbo di Rett nella mutazione MECPZ localizzata sul cromosoma Xq28. Non vanno inoltre sottovalute le patologie neurologiche associate alla sindrome che aggravano il quadro clinico: iper o ipo-tonia, turbe della coordinazione motoria, distonie, stereotipie motorie, dismorfismi, alterazioni dell’udito (sordita’ di conduzione neurosensoriale o mista), ritardo mentale ed epilessia. Le ricerche evidenziano pertanto che esiste una multifattorialita’ di cause genetiche, organiche o acquisite precocemente che, in modi diversi, potrebbero giustificare l’insorgenza del disturbo autistico e che vanno pertanto ulteriormente indagate.


Trattamento psicoterapeutico

Un corretto trattamento psicoterapeutico deve prevedere, probabilmente più che in altri disturbi, un corretto ed adeguato processo di assessment che deve partire dalla rilevazione di informazioni relative alla storia del disturbo, l’iter diagnostico e terapeutico che hanno preceduto la consultazione, argomenti relativi alle risposte ambientali e familiari al disturbo e alle rappresentazioni genitoriali. La valutazione del bambino deve esplorare tutte le aree dello sviluppo: l’area affettiva, cognitiva, comunicativa, interattiva, neuropsicologica. E’ importante effettuare un’indagine neurologica accanto alla valutazione psicodiagnostica del bambino. L’indagine medica consente di evidenziare situazioni cliniche associate al disturbo ed e’ utile per la diagnosi differenziale con altre condizioni mediche. Determinante è la valutazione psicodiagnostica in quanto al momento una diagnosi specifica per il Disturbo Autistico e’ possibile solo su dati comportamentali. Un’accurata valutazione psicodiagnostica richiede da parte del clinico un’osservazione prolungata che va dalle da 4 alle 5 sedute in un setting supportivo ma non eccessivamente ricco di stimoli adatto a sollecitare ed incoraggiare l’attivita’ spontanea e l’interazione. Il clinico dovra’ osservare attentamente: l’attivita’ spontanea, il comportamento interattivo, la comunicazione verbale e non verbale, l’affettivita’ o stato dell’umore (in termini di regolazione, intensita’ e reciprocita’), il profilo cognitivo, i comportamenti ripetitivi. La valutazione del profilo di sviluppo relativo alle diverse abilita’ (linguistica, cognitiva, motoria, visuopercettiva e cosi’ via) consente al clinico di stabilire una prognosi ed effettuare una programmazione degli interventi.

Fra i trattamenti più efficaci sono documentati quelli di natura comportamentale e molti interventi prevedono l’applicazione di strategie e di tecniche che si basano sui principi della psicoterapia cognitiva. Gli obiettivi generali dell’intervento saranno: favorire la motivazione, la stabilità attentiva e il comportamento intenzionale, il riconoscimento e la differenziazione delle emozioni, la comprensione di sé e dell’altro, la comunicazione, il gioco e il problem-solving. Non è prevista l’applicazione di tecniche avversive volte a ridurre quelli che in passato (trascurandone l’aspetto funzionale ) erano definiti “comportamenti devianti”, quali le stereotipie, le ecolalie, l’auto e l’etero-aggressività’, in quanto non riteniamo necessarie al raggiungimento di tali obiettivi le misure punitive. La nostra esperienza clinica con bambini con disturbi pervasivi dello sviluppo dimostra che in molti casi i comportamenti devianti si riducono spontaneamente via via che migliorano le abilità di comunicazione e di interazione con l’altro. In altri casi invece l’intervento diretto su tali comportamenti prevede strategie piu’ complesse: il gesto sterotipato e l’uso bizzarro dell’oggetto, ad esempio, vengono inseriti in uno spazio di condivisione, investiti di significato o integrati in una sequenza di attività ludica ove perdono la caratteristica di devianza; i comportamenti auto ed etero-aggressivi invece vengono ridotti aiutando il bambino ad esprimere il disagio e la rabbia attraverso modalita’ di comunicazione alternative tra cui la verbalizzazione dei propri stati interni e l’attacco rivolto all’oggetto piuttosto che all’altro o a se stesso.

Gli “eccessi comportamentali” sono un problema a casa, a scuola e in tutti i contesti sociali e richiedono attenzione ovunque interferiscano con l’apprendimento e con la piena partecipazione nella famiglia e nella comunità locale. L’esperienza clinica insegna inoltre che molti bambini autistici hanno difficoltà a trasferire le abilita’ appena apprese in un determinato setting terapeutico in altri luoghi e ad altre persone. Il problema della “generalizzazione delle acquisizioni” fu già riscontrato negli anni 70 e affrontato realizzando programmi di intervento per genitori. Un buon trattamento deve prevedere un lavoro costante e continuativo con la famiglia: ogni fase del processo terapeutico dovrebbe essere illustrata, motivata e condivisa col genitore, il quale potrà così sostenere le acquisizioni senza pero’ confondere il proprio ruolo genitoriale con quello di terapista. La presa in carico del nucleo familiare da parte dei Servizi territoriali e’ indispensabile e può essere effettuata mediante: interventi di sostegno, il counseling, la psicoterapia individuale, di gruppo e la psicoterapia genitore-bambino. Nelle scuole invece l’attivita’ dei i servizi dovra’ prevedere un controllo costante dell’iter scolastico che consideri, la possibilita’ di permanenze programmate e protratte nel tempo (specie nei casi piu’ gravi), e la realizzazione di programmi centrati sull’apprendimento. E’ importante che il programma psicopedagogico si integri con la terapia riproponendo in classe le funzioni sulle quali la terapia sta lavorando.