Che differenza c'è tra un amico ed uno psicologo?

L'amicizia e l'amore sono rapporti umani e benché in grado di fornire sostegno non vanno intesi come cure a situazioni patologiche.

Che differenza c´è tra un amico e uno psicologo?

Dove finisce il compito dell'amico e dove inizia quello dello psicologo? Potrebbe la presenza di una figura stabile fornire sicurezza e stabilità a persone con problematiche psicologiche provocandone miglioramenti o guarigione? L'amicizia è un valore fondante per la maggior parte degli esseri viventi. Senza di essa la vita non avrebbe per tutti noi il senso che ha e la possibilità di condividere gioie e dolori verrebbe a sparire. Tramite l'amicizia si forma la nostra personalità, il confronto sincero con le persone a noi care fornisce spunti utili per accrescere la propria individualità, migliorarsi e trasformarsi. Ci si consola ed ascolta nei momenti di difficoltà, ci si sente meno soli e più forti, accolti e capiti da chi di noi ha una buona stima ed è pronto a sacrificarsi per venire in nostro aiuto. Questo succede quotidianamente alla maggior parte di noi. Avere almeno un amico è sicuramente un ancoraggio alla vita reale.

L'amico consola fornendo un parere che non può essere disinteressato (anzi gli si chiede un parere da interessato), proprio perché coinvolto attivamente con emozioni e sentimenti nella vita di chi si rivolge a lui, l'amico dà consigli che partono da punti di vista interni alla situazione stessa. E' per questo che, benché l'amico possa dare grande supporto, difficilmente farà guarire da una patologia psicologica. Spesso le situazioni problematiche che non vengano corrette con interventi ad hoc continuano a fornire soluzioni problematiche, le quali accresceranno o manterranno in vita il disagio percepito.

E' a questo proposito che lo psicologo può fornire qualcosa di diverso rispetto a un amico: oltre alla dimestichezza nell'affrontare determinate tipologie di situazioni acquisita nel corso della sua esperienza, il terapeuta può dare un punto di vista diverso della situazione (non per forza corretto) che sia in grado di fare vedere la realtà al paziente in maniera nuova. Questa nuova modalità di vedere la realtà difficilmente emerge da persone che rimangono coinvolte nella vecchia realtà. Lo psicologo interviene nella situazione mantenendo un punto di osservazione esterno, meno coinvolto, per questo più obbiettivo ed efficace.

Capita, all'interno dei gruppi terapeutici (più pazienti con uno psicologo), che i pazienti decidano spontaneamente di non vedersi al di fuori dell'ambito terapeutico, non si scambiano numeri di telefono, non si frequentano al di fuori della seduta. Ci si accorge del vantaggio che un consiglio disinteressato può avere rispetto al parere di chi invece si trova all'interno della problematica. Se non ti conosco ragiono a mio modo, mi identifico meno nel tuo, ho meno aspettative nei tuoi confronti, mi sento meno sensibile al giudizio dell'altro.

Pensiamo a noi stessi di fronte alla richiesta di un amico di avere un parere su una determinata situazione: ci possiamo sentire in difficoltà nel dirgli le cose come stanno veramente, ci sentiamo implicati nel suo gioco emotivo con la paura di poterlo ferire. E' questa una problematica che affrontano gli stessi psicologi quando vengono chiamati in causa da amici per avere pareri.

Lo psicologo cerca di mantenere una posizione in sintonia ed empatia con il cliente e anche a distanziarsi dalla situazione, a vederla con occhi diversi da chi vi è profondamente implicato per trovare nuove soluzioni che non verrebbero facilmente a chi invece si trovi invischiato all'interno del problema. Se all'amico si chiede un parere interessato, lo psicologo è in grado di fornire un parere disinteressato, con i vantaggi che questo comporta. E' addestrato per guardarsi nel rapporto con il cliente, si è sempre almeno in 3: terapeuta, paziente e funzione osservante.

E' anche diverso il modo che la persona ha di porsi davanti al terapeuta, poiché si opera in uno spazio neutro. Sospendendo il giudizio può essere più facile parlare di problematiche scottanti senza la paura di perdere un'amicizia. Un altro punto di vista, fuori dal contesto, può essere spiazzante. L'amico cerca di essere voluto bene, lo psicologo di guadagnarsi il pane rendendo il servizio richiesto: per far uscire la persona dai suoi schemi collaudati e dolorosi, far emergere altre possibilità.

Non tutti i vuoti che abbiamo vanno riempiti con gli altri, molti vanno colmati da sé: solo persone con disturbi poco gravi e con un po' di fortuna possono trovare aiuto terapeutico in relazioni stabili, sebbene vi sia un'esperienza clinica che evidenzi come la maggior parte dei pazienti si scelga come persone da tenersi vicino quelle capaci di mettere il dito nella piaga delle loro problematiche, esacerbando le difficoltà, invece che migliorarle.

D'altra parte succede anche di vedere situazioni di coppia in cui il compagno sembra diventare un farmaco per il sintomo della persona sofferente. Questo da una parte è un bene, resta pur sempre una risorsa e non la soluzione del problema: va tenuto in considerazione. Talvolta l'appoggiarsi a una persona indebolisce se stessi in quanto può facilitare la delega del problema e aumentare il proprio sentimento di fragilità.